La parola del momento, quella
che rimbalza da un social a una pagina di giornale, è dissing.
Formula slang derivata da
“disrespecting”, il dissing non è altro che l’azione di lanciare accuse e insulti
verso un nemico/rivale al fine di provocarlo in una sfida pubblica a chi la dice
più grossa.
Niente di nuovo sotto il
sole. Non sono certo il rap o la trap ad avere inventato la possibilità di
scambiarsi insulti a distanza in versi, con o senza accompagnamento musicale, al
cospetto di un pubblico attento e, in fin dei conti, divertito.
Nella poesia antica
esistevano vari generi letterari deputati all’attacco personale, dal giambo,
alla commedia, alla satira. Si racconta che Ipponatte si scagliò con tale
ferocia contro gli scultori Bupalo e Atenide di Chio da indurli al suicidio.
Orazio augura a Mevio di naufragare durante un viaggio in mare, così che il suo
cadavere vada a ingrassare gli smerghi. Ovidio se la prende con un anonimo Ibis,
paragonandolo al fetido uccello.
E, spostandosi nel tempo,
che dire di Dante che provoca a tenzone l’amico Forese, accusandolo di trascurar la moglie per "impedimenti" oggettivi?
Il punto è che insultare in modo efficace non è semplice.
Gli insulti troppo generici non vanno a segno,
quelli riferiti all’ambito anatomico o escrementizio (o a tutti e due) sono
banali. L’insulto deve entrare nello specifico, richiede spirito di
osservazione, attenzione e, magari, un po’ di originalità.
L’aveva capito benissimo anche Omero quando ci racconta il dissing all’alba della civiltà, quando nell’Iliade, Achille insulta Agamennone e Agamennone insulta Achille.
“Avidissimo” e “brutto
cane” sono accuse ben generiche rivolte ad Agamennone: quando Achille dice le
cose come stanno (la guerra la mando avanti io con le mie imprese, però alla
fine tutto il bottino te lo prendi tu), solo allora Agamennone si infuria
veramente e contrattacca con una stoccata non da meno.
Se proprio deve
rinunciare alla sua schiava Criseide per volontà degli dei, afferma Agamennone,
non ne vuole una qualsiasi, ma pretende quella di Achille. Quella e solo
quella. Di Achille, di colui che, in fin dei conti, può vantarsi di essere
tanto forte in battaglia solo per merito degli dei che l’hanno reso
invulnerabile.
Molti secoli dopo si
ricorderà di tutto ciò Stefano Benni che nel suo “Il bar sotto il mare” riproporrà
un’altra epica disfida, quella fra Achille e Ettore (questa volta, però,
abitanti dell’immaginario paese, di Sompazzo), che si affrontano a suon di
insulti, di fiatate e di abbuffate di vino e salsicce.
La fantasia non manca ai
due contendenti.
Buono-a-niente-scioperato-che-non-sai-distunguere-una-pera-crassana-da-una-spadona-che-mungi-le-galline- e-che-non-sai-cagar-nell’-erba-che-spari-ai-rondoni-che-la-volpe-ti-ruba-le-bretelle-che-vai-a-funghi-e-prendi-satanassi-che-vai-a-pesce-e-prendi-del-freddo-e-i-tuoi-formaggi-san-di-purga-e-il-vino-di-piscio-e-c’-hai-più-zecche-del-tuo-cane-più-pidocchi-di-tua-moglie-più-rogne-del-tuo-gatto-più-bachi-delle-tue-mele-più-croste-del-tuo-porco-
Carogna-fetente-di-un-fascistaccio-più-fascista-di-tutti-i-padroni-fascisti-della-casa-del-fascio-più-fascista-del-peggio-fascista-che-confronto-a-te-Mussolini-era-un-compagno-che-compagno-a
tresette-ti-ci-vorrebbe-Kappler-e-compagno-a-bocce-il-fuehrer-che-sei-più-fascista-di-un-prete-fascista-e-più-democristiano-di-un-treno-di-suore-e-fascista-più-di-tutte-le-esseesse-passate-di-qua-e-di-tutti-i-dittatori-del-Vanzenzuela-e-di-tutti-ipreti-che-c’è-a-Roma-e-di-tutti-i-padroni-che-c’è-al-mondo
Mica male, verrebbe da dire. Perché qui Benni ci rivela come stanno davvero le cose, di cui abbiamo testimonianza spesso quando assistiamo a un dibattitto televisivo: insultarsi a volte è solo un esercizio retorico per averla vinta e per vedere chi è più bravo.
Ci sarebbero senza dubbio altri mezzi più costruttivi attraverso cui competere.
Il fatto è che questo tipo di competizione può essere molto divertente.