Il cerchio, di Dave Eggers. La distopia a un passo da noi

 


Uno dei pregi della letteratura distopica è quello di aiutare a mettere a fuoco, per contrasto, com’è il mondo in cui viviamo e fornirci indicazioni su dove stiamo andando.

L’allucinazione orwelliana di “1984” ( o forse sarebbe meglio dire l’intuizione?) di un mondo in cui l’individuo è solo in funzione di un sistema che lo opprime, manipola e monitora costantemente ha costituito nel secolo scorso un monito (anche se non so quanto questo monito sia servito) contro la società di massa e massificante, in cui il controllo delle persone anche nella sfera più privata e intima è possibile grazie a mezzi di propaganda e comunicazione che, per la prima volta nella Storia, possono davvero raggiungere tutti.

Dave Eggers, giornalista statunitense e autore di libri di grande successo, con “Il cerchio” porta semplicemente un passo più in là la distopia orwelliana, aggiornando la narrazione con quelli che sono i veri mezzi di controllo di cui oggi disponiamo: internet e i social.

È la storia di Mae Holland, giovane neolaureata che, dopo le prime esperienze lavorative alquanto mortificanti, trova finalmente il lavoro dei suoi sogni quando viene assunta al Cerchio. The Circle è di fatto la più importante azienda del mondo per i servizi online, un luogo che non solo produce profitto (e paga generosamente i propri dipendenti), ma che è anche un gigantesco laboratorio di idee innovative, volte a migliorare la qualità della vita di tutti, a forgiare una società più inclusiva e democratica, a creare, in definitiva, un mondo migliore.

Il Cerchio sembra un luogo di delizie: l’enorme complesso aziendale sorge all’interno di un enorme parco laghetti, piscine, teatri, spazi ricreativi. Gli uffici sono ampi, confortevoli, pieni di luce, moderni e accoglienti, la mensa è ottima e adatta a ogni gusto ed esigenza alimentare, all’interno del campus vi sono persino dei dormitori super lusso (gratuiti) per i dipendenti che preferiscono risparmiarsi il viaggio casa-lavoro.

Mae inizialmente non crede alla sua fortuna quando riesce, forse grazie a un’amica, a ottenere un posto di lavoro che la gratifica e le offre ogni facilitazione (assistenza sanitaria gratuita per sé e i genitori) oltre che mille occasioni di svago e di crescita.

Ma Il Cerchio non è un’azienda come tutte le altre, ha una missione ben precisa voluta dai tre giovani Saggi fondatori: diffondere le informazioni, condividerle, connettere il mondo intero, far sì che, in qualsiasi angolo del globo, niente resti sconosciuto e tutto, ma proprio tutto, sia accessibile a tutti.  Qualsiasi dipende deve seguire la filosofia del Cerchio, condividerne i valori, adoperarsi per metterli in pratica quotidianamente, sul lavoro e nella vita privata perché non vi è, in fondo, distinzione fra lavoro e vita privata.

Ma cosa significa davvero sapere tutto di tutti? Cosa implica condividere con tutti ogni informazione che abbiamo? Chiudere il cerchio, fare in modo che ciascun abitante del pianeta contribuisca all’infinito processo di condivisione di ogni dato, di ogni informazione, di ogni aspetto della realtà (storica, presente, propria, altrui, non importa)… cosa comporta? E se qualcuno si rifiutasse di prendere parte alla realizzazione di questo sogno collettivo? 

E, intanto, nel corso della lettura, il lettore deve prendere atto di un elemento inquietante: nel mondo del Cerchio,  la privazione della libertà e la rinuncia alla privacy non vengono imposte dall’altro, ma volute, richieste, accettate e condivise da coloro stessi che le subiscono. Vengono introdotte poco a poco, all’inizio in maniera impercettibile, in nome delle giuste cause del progresso, dell’equità, della sicurezza, per poi divenire un gigantesco squalo (come l’animale che compare in una delle sequenze finali del romanzo) che fagocita ogni cosa attorno a sé, inglobandole e impedendone l’esistenza.

A differenza della distopia orwelliana, il Cerchio non punta a manipolare, modificare o occultare informazioni. Anzi, al contrario, uno degli ideali sbandierati con orgoglio è proprio quello dell'assoluta trasparenza, al punto da invitare il maggior numero possibile di persone, soprattutto tutte quello che rivestono un ruolo in qualche modo istituzionale, a rendere la propria vita accessibile 24/7 agli osservatori di tutto il mondo tramite una telecamera portatile. 

A differenza di Winston, il ribelle che cerca di boicottare la dittatura del Grande Fratello, Mae Holland diviene lei stessa un artefice del cambiamento verso un "brave new world" in cui "i segreti sono bugie", "sharing is caring", "la privacy è un furto". 

Frasi come queste — slogan apparentemente innocui, quasi rassicuranti — diventano nel romanzo il mantra di un’intera civiltà che ha scambiato la libertà per l’illusione della sicurezza, e l’intimità per un bene da mettere all’asta. Nel mondo del Cerchio, non c’è più spazio per il dubbio, per l’ambiguità, per l’ombra: ogni parola e ogni gesto, privati della protezione del segreto, vengono esposti alla luce cruda e implacabile di un’attenzione collettiva che non conosce pause.

Il romanzo di Eggers ci induce a considerare quanto questa deriva non sia fantascienza remota, ma un’ipotesi terribilmente plausibile. Non ci sono dittatori da abbattere, muri da superare o verità da scoprire: ci siamo noi, con la nostra fame insaziabile di connessione, di approvazione, di visibilità. Il Cerchio non ci obbliga a nulla — siamo noi a spalancare la porta.

Così, quando la trama si chiude su se stessa come il logo perfetto dell’azienda, al lettore resta un’inquietudine sottile: e se il vero pericolo non fosse un potere che ci controlla dall’alto, ma la nostra stessa volontà di consegnargli ogni frammento di noi? In questo senso, sì, il Grande Fratello di Orwell rischia di sembrare davvero un dilettante.