I fatti: in una Scozia
indefinitamente medievale, Macbeth, generale dell’esercito del re Duncan, e
Banquo, suo amico, dopo una vittoriosa battaglia, incontrano sul loro cammino
tre donne dall’orrido aspetto (forse streghe?) che salutano Macbeth come futuro
re e Banquo come padre di un futuro re. Su incitazione della moglie (“hai paura
di essere nei tuoi atti e nel valore ciò che sei nel desiderio?”), Macbeth
decide di affrettare il corso del destino e di uccidere Duncan, per prenderne
il posto.
Delitto e castigo, come
ci si potrebbe aspettare, solo, due secoli prima di Dostoevskij.
Fidatevi. Se non avete
mai letto Macbeth, non potete avere idea di quanto possa essere fonda la notte.
A cominciare dal
protagonista, Macbeth, Barone di Glamis, poi di Cawdor, infine, per sua
sventura, re di Scozia. Non credo ci sia altro personaggio delle tragedie di
Shakespeare che sia più cupo e oscuro. Non certo il malinconico Amleto, né
Otello, dominato dalla sua ossessione. Macbeth non suscita nel lettore né
comprensione, né pena, ma solo orrore per la perseveranza con cui si addentra
in un abisso che lo inghiotte, in una serie di spaventosi notturni, ciascuno
sfondo e protagonista di ognuna delle azioni delittuose di cui Macbeth si
macchia.
E di questa notte né il
lettore (o lo spettatore) né i protagonisti stessi sembrano intravedere mai la
fine.
È, quindi, una notte
senza luna e senza stelle quando Banquo e il figlio Fleance incontrano Macbeth
che si appresta a mettere in pratica il suo disegno di uccidere il re.
“A che punto è la notte?”
chiede Banquo a Fleance. Alla domanda Fleance risponde, confermando che la
notte è ormai al suo momento più buio: la luna è tramontata. ”Fanno economia in
cielo”, commenta sconsolato Banquo, “hanno spento tutte le candele”.
Più in là nella vicenda,
la domanda ritorna. Macbeth, ha ordinato l’omicidio di Banquo e di Fleance per
impedire che si realizzi anche la parte della profezia che riguarda Banquo
(“sarai padre di re”). Il fantasma di Banquo, visibile solo al re, entra nella
sala del banchetto e si siede sul suo seggio.
Mentre Macbeth è in preda al terrore e al rimorso, gli invitati al
banchetto osservano esterrefatti Macbeth credendolo pazzo.
A questo punto, congedati frettolosamente gli invitati, Macbeth si rivolge alla moglie e, a sua volta, chiede: “a che punto è la notte?”
La notte del Macbeth è popolata di streghe, incubi e demoni attraverso cui prendono forma i desideri più vergognosi e le paure più feroci che tormentano l'animo umano, quasi vomitati dalle viscere delle tenebre e dalle tenebre del nostro io più riposto.
Alla fine il bene
trionfa, come è giusto che sia (o meglio: come sarebbe giusto che fosse). Il
sanguinario tiranno viene spodestato dai suoi stessi baroni e Malcolm, figlio
di Duncan, si siede sul trono che gli spetta.
“Non c’è notte lunga che
luce non trovi”, commenta Malcom, trionfante sul cadavere di Macbeth.
Alla fine la luce arriva. Ma quello che Shakespeare vuole raccontare è soprattutto, la lunga, interminabile notte che prima bisogna attraversare.