Voci d'autore - Intervista a Giulio C. Valcossi: Mecenate e i coccodrilli dell'Argiletum



D.: Buongiorno, signor Valcossi. Innanzitutto, una domanda obbligatoria che molti lettori dei suoi romanzi si staranno ponendo: perché ha scelto di utilizzare uno pseudonimo per i suoi romanzi e da dove viene il nome Giulio C. Valcossi?

R.: L'uso di uno pseudonimo deriva soprattutto dal piacere infantile di avere una doppia identità, come Zorro o Paperinik, ma anche da un motivo pratico: il mio vero nome, Costantino Moro, è anche il nome di un personaggio di Grazia Deledda. Non molti lo sanno, ma in una ricerca in rete un ipotetico lettore faticherebbe a trovarmi. Il nome Giulio C. Valcossi è nato per caso, tanti anni fa. Stavo leggendo "Umiliati e offesi" di Dostoevskij, in cui uno dei personaggi è il principe Pëtr Valkovskij. Allora pensai che  un nome simile potesse essere italianizzato in Pietro Valcossi. Questo episodio mi è tornato in mente al momento di scegliere lo pseudonimo. Però ho sostituito il nome Pietro con Giulio, più adatto a un contesto storico "avanti Cristo", e ho aggiunto la C, che sta per Costantino, non per Cesare, ed è anche una rispettosa allusione ad Andrea G. Pinketts.

D.: “Mecenate e i coccodrilli dell’Argiletum” è il suo secondo romanzo che esce tre anni dopo “Mecenate il maestro della paura”. L’idea di trasformare Gaio Cilnio Mecenate, amico e “spin doctor” ( come Lei stesso lo definisce) di Ottaviano Augusto, in una sorta di Hercule Poirot dell’antichità è assai originale. Come Le è venuta?

R.: è colpa di Mino Milani! Quando ero ragazzino, negli anni '70, il grande narratore pavese scriveva per il Corriere dei Ragazzi una serie di fumetti intitolata "I grandi nel giallo". Personaggi storici come Michelangelo, Giacomo Leopardi o Luis Pasteur si trovavano a dover indagare su delitti più o meno gravi. L'entusiasmo per questo tipo di invenzione fantastica mi ha portato, in seguito, ad apprezzare autori che hanno proposto idee simili, come, per citare due esempi noti, Margaret Doody con Aristotele o Giulio Leoni con Dante Alighieri. Ho scelto Mecenate come protagonista dei miei romanzi perché, pur essendo un personaggio storico di importanza colossale, sappiamo in realtà molto poco della sua vita: la situazione ideale per un romanziere. Naturalmente sulla scelta ha influito il fatto che io sono, di formazione, un filologo classico. Mi sono attenuto al principio che bisogna scrivere di ciò che si conosce.

D.: Precedentemente ho implicitamente paragonato il suo Mecenate al celeberrimo Hercule Poirot, nato dalla penna di Agatha Christie. Ritiene corretto questo accostamento?

R.: Suonerà come una bestemmia, ma non sono un grande fan della "zia Agatha". Più che a Poirot, accosterei il mio Mecenate a Sherlock Holmes o a Nero Wolfe (si parva licet...), detective che hanno accanto una "spalla" indispensabile. Aggiungerei una spruzzatina di Maigret, del Continental Op di Dashiell Hammett e dell'Erast Fandorin di Boris Akunin.

D.: A quali scrittori si è ispirato nella creazione dei suoi gialli?

R.: A tutti quelli che ho letto nella mia vita, compresi i poeti, gli sceneggiatori delle serie televisive e gli autori di canzoni! Certamente, sento di avere un debito particolare nei confronti dei già citati Margaret Doody e Giulio Leoni, oltre ai giganti nominati nella risposta precedente. Aggiungerei anche autori come David Wishart e Robert Graves. Il mondo del romanzo storico anglosassone, anche non poliziesco, è infinito e non smette di stupirmi. Ma vorrei aggiungere una considerazione più generale: non sempre gli scrittori che più ci inflenzano sono quelli che amiamo di più. Io credo, per esempio, di essere molto influenzato da Hemingway (soprattutto l'Hemingway dei racconti), eppure non è uno scrittore che amo particolarmente.

D.: Il romanzo è accuratissimo dal punto di vista storico. Su quali fonti si è documentato?

R.: La fonte storica principale, soprattutto nel primo romanzo, è stata costituita da Cassio Dione e Svetonio, ma sono numerosissime le fonti che devono essere considerate quando si cerca di ricostruire un contesto storico. Per esempio, non avrei potuto comporre il primo romanzo senza leggere il Liber Prodigiorum di Giulio Ossequente. Poi, naturalmente, ci sono le fonti secondarie: per evitare errori, ho letto decine di libri e articoli di archeologia e storia del diritto romano, discipline di cui non sono uno specialista.

D.: Secondo Lei, quali sono gli ingredienti di un buon romanzo giallo? Soprattutto, cosa non deve mai mancare?

R.: L'azione, senza dubbio. Come insegna Raymond Chandler, deve sempre accadere qualcosa, per spingere il lettore a proseguire nella lettura. Poi ci vogliono un'accurata ricostruzione dell'ambiente e personaggi con i quali il lettore possa entrare in confidenza.

D.: Il personaggio di Mecenate in qualche modo La rispecchia?

R.: Forse soltanto nell'abitudine di formulare considerazioni sulla vita e sull'essere umano. In realtà, quando lo rappresento, penso spesso a un mio caro amico d'infanzia, che, purtroppo, non c'è più.

D.: Una curiosità: il romanzo è ambientato nel 12  a.C. quando Virgilio, amico di Mecenate,  era già morto da sette anni. Perché ha scelto di non far comparire Virgilio nei suoi romanzi? E perché non compare mai neppure Orazio, che era strettamente legato a Mecenate? O forse riserva la presenza di Orazio  a uno dei futuri romanzi?

R.: La vicenda del primo romanzo doveva essere ambientata nel 12 a.C., per motivi storici, quindi Virgilio non ci poteva essere. In realtà, compare come proiezione della coscienza di Mecenate: un amico che non c'è più, ma con il quale continua a parlare, da sveglio o in sogno. Con Orazio ammetto di avere un problema, perché non ho mai trovato, con questo autore, l'affinità emotiva che sento con Virgilio e Ovidio, motivo per cui mi è venuto naturale rappresentarli. Ma spero di recuperarlo nel terzo e conclusivo romanzo.

D.: Altro personaggio che mi ha incuriosito è Ermocrate, il medico alessandrino di Mecenate. Nel primo romanzo Ermocrate rappresentava un po’ la razionalità della scienza. In questo libro è invece spesso confuso, sospeso tra sentimenti contraddittori. Come mai ha deciso di trasformarlo?

R.: Sul personaggio di Ermocrate potrei fare discorsi psicanalitici, perché anch'io, come lui, sono figlio di un medico. In un certo senso, Ermocrate mi permette di superare i sensi di colpa per non aver proseguito su quella strada! Le sue contraddizioni sono le mie, per questo, a volte, sembra tanto confuso. Però, rispetto a me, lui ha il vantaggio di essere giovane e piacente.

D.: Nel 1959 lo scrittore svizzero Friedrich Duerrenmatt scrisse “La promessa” che , come lui stesso lo definì, è una sorta di “requiem per il romanzo giallo”. Con il suo libro Duerrenmatt dimostrava che il romanzo giallo è impossibile in quanto suppone l’esistenza di una realtà razionale e prevedibile, mentre al di fuori della letteratura, nel mondo, regna il caos. Lei cosa pensa di questa tesi?

R.: Penso che fosse una tesi volutamente paradossale. Il successo, anche attuale, dei romanzi polizieschi, dipende proprio dall'elemento che Dürrenmatt negava: in essi il lettore trova un appiglio per coltivare l'illusione che la realtà sia razionale, che il male possa essere sconfitto, che ci sia qualcuno in grado di rimettere le cose a posto. Due anni fa, in piena prima fase della pandemia, il Guardian pubblicò la notizia che in Inghilterra la vendita di romanzi gialli era incredibilmente aumentata. Non si trattava soltanto del fatto che le persone erano chiuse in casa e dovevano trovare un diversivo: i lettori si rivolgevano a questo genere proprio per tranquillizzarsi. Del resto, se vogliamo rappresentare il lato oscuro dell'esistenza, entriamo in un genere letterario diverso, il noir.

D.: Quale crede sia il motivo del successo dei suoi romanzi?

R.: Credo che "successo" sia una parola un po' troppo grossa, per me. Lo prendo come un augurio. Dai riscontri che ho, credo che i lettori apprezzino  soprattutto l'intreccio ("Ma come fai a inventarti tutti quegli avvenimenti" è uno dei commenti che ho sentito più spesso) e l'umanità dei personaggi. Alcuni recensori hanno sottolineato la qualità della scrittura, soprattutto nei dialoghi, cosa che, naturalmente, mi fa molto piacere, perché è un aspetto al quale dedico una cura maniacale. Più difficile spiegare perché alcuni lettori, pochi, per mia fortuna, abbiano espresso giudizi negativi, purtroppo senza motivarli. Ma ognuno ha i propri gusti.

D.: Alcune delle story lines secondarie del romanzo, come quella di Ariadne o di Ghisla, ad esempio, trovano una conclusione che di fatto sembra preludere a nuovi sviluppi. Possiamo aspettarci una terza avventura di Mecenate?

R.: Naturalmente sì. Fin dall'inizio, la mia intenzione era di comporre una trilogia. Purtroppo, sono uno scrittore lento, pieno di scrupoli e ripensamenti, quindi i lettori dovranno avere un po' di pazienza, per vedere come si concluderanno le avventure di Mecenate e dei suoi amici.

Grazie per avermi ospitato su questo blog e per avermi posto delle domande così stimolanti. Un saluto e un ringraziamento a Lei e a tutti i lettori.