La novella degli scacchi, di Stefan Zweig

 




Tutti i generi di persone monomaniache, chiuse in un’unica idea, mi hanno sempre interessato, perché più uno si circoscrive, tanto più, d’altra parte, è vicino all’infinito; proprio questi tipi in apparenza lontani dal mondo si costruiscono nella propria materia, a mo’ di termiti, una straordinaria e singolarissima epitome del mondo

 

Perché leggere La novella degli scacchi di Stefan Zweig?  

La novella degli scacchi è un racconto lungo che si legge tutto d’un fiato. Nella storia troviamo tutti gli ingredienti che possono tenere incatenato un lettore alla sedia e costringerlo ad arrivare all’ultima pagina prima di deporre il libro. Innanzitutto due personaggi enigmatici, entrambi usciti dal nulla: il campione mondiale di scacchi Czentovič, dagli oscurissimi natali, un individuo semi-analfabeta e quasi incapace di relazionarsi con gli altri, ma dotato di uno e unico talento per gli scacchi, e dall’altra parte il dottor B., appartenente a un’antica e stimata famiglia, titolare di uno dei più importanti studi legali dell'Austria, eppure completamente sconosciuto al mondo nella veste di genio degli scacchi. Le partite che li vedono schierati su fronti opposti divengono per il lettore il campo di battaglia in cui vengono a misurarsi l’arroganza di Czentovič  e la febbrile passione del dottor B., mentre il narratore ci guida fin dalle prime pagine nella storia, come in un mito dei nostri tempi: su una nave, in un giorno non definito, in un punto imprecisato dell’Oceano, gli uomini mettono in gioco le loro emozioni, il loro passato e, in definitiva, sé stessi, con l’esclusivo obiettivo di riportare la vittoria, e null’altro.

Di cosa tratta?

Conoscevo bene per diretta esperienza la misteriosa attrazione del “gioco dei re”, l’unico fra tutti i giochi escogitati dall’uomo che si sottragga sovranamente alla tirannia del caso e dia la palma della vittoria all’intelletto soltanto, o per meglio dire a una forma particolare di talento intellettuale. Ma non ci si rende già colpevoli di una limitazione offensiva, nel chiamare gli scacchi un gioco? Non è anche una scienza, un’arte, oscillante fra queste due categorie come la bara di Maometto fra cielo e terra, straordinario legame fra tutte le coppie di opposti; antichissimo eppure eternamente nuovo, meccanico nella disposizione e animato solo dalla fantasia, limitato in uno spazio rigidamente geometrico e insieme infinito nelle sue combinazioni, in continua evoluzione eppure sterile, un pensiero che non conduce a nulla, una matematica che non calcola nulla, un’arte senza opere, un’architettura senza sostanza e nonostante ciò, com’è dimostrato dai fatti, più durevole nella sua essenza ed esistenza di tutti i libri e le opere, l’unico gioco che appartenga a tutti i popoli e a tutti i tempi e di cui nessuno sa quale Iddio l’abbia portato sulla terra per ammazzare la noia, acuire i sensi, avvincere l’anima. Dov’è in esso il principio e dove la fine? Ogni bambino può imparare le sue prime regole, ogni sciocco può cimentarvisi, e tuttavia all’interno di questo stretto immutabile quadrato esso riesce a produrre una particolare specie di campioni, non paragonabile a nessun’altra, uomini dotati solo per gli scacchi, genî specifici, nei quali visione, pazienza e tecnica operano in proporzioni così precise come nel matematico, nel poeta, nel musicista, solo in una diversa stratificazione e connessione

Su una grande nave passeggeri in viaggio da New York a Buenos Aires viaggia Mirko Czentovič, un giovane slavo dagli ispidi capelli color biondo paglia, che da circa un anno, fra lo stupore universale, è entrato nella leggenda dei più grandi scacchisti di tutti i tempi. Di lui si sa poco perché non rilascia interviste, ma vari aneddoti circolano sulla sua “figura grottesca e quasi comica” di contadino rozzo e semi-illetterato, catapultato in virtù del suo eccezionale talento nell’illustre galleria dei campioni di scacchi, dove sono riuniti i più diversi tipi di superiorità intellettuale – filosofi, matematici, ingegni calcolatori, fantasiosi e spesso creativi”. La sua presenza a bordo suscita l’attenzione di alcuni passeggeri appassionati di scacchi e del narratore in particolare (di cui non sappiamo nulla, se non che, a mo’ di alter ego di Stefan Zweig, è di origine austriaca). Gli agguerriti dilettanti ottengono da Czentovič la possibilità di giocare una partita con lui, beninteso a seguito del pagamento dell’onorario richiesto dal campione. Mentre la gara si avvia al prevedibile risultato, interviene nel gioco “un signore di circa quarantacinque anni”, dal volto “sottile e aguzzo” che riesce a suggerire ai volenterosi scacchisti le mosse giuste per arginare la sconfitta. Il signor B. (questo è il nome, anzi il non-nome, dello sconosciuto, che tale resterà per tutta la novella) appare, dunque, come l’unico in grado contrastare l’astro del genio di Czentovič. Ma come è possibile che un individuo qualunque coltivi un simile talento per gli scacchi e perché fino ad ora nessuno l’ha mai riconosciuto? 

Stefan Zweig, da buon viennese, nutrì un grande interesse per la psicologia. Amico personale di Sigmund Freud, Zweig era convinto che la letteratura fosse, come lui stesso scrive, Erforschung der Seele, indagine dell’anima. Nell’introduzione alla trilogia "Drei Dichter ihres Lebens: Casanova, Stendhal, Tolstoj", Zweig scrive che “la scoperta dell’anima sarà il compito di questa nostra umanità diventata sapiente”. Lo studio dell’animo umano è una delle passioni dell’autore che, non a caso, dedicò larga parte della propria produzione, all’attività di biografista.

Nella Novella degli scacchi la personalità dei giocatori diviene appunto il centro della storia. Zweig, così, costruisce in essa una sorta di dramma in tre atti. Dapprima fornisce una cornice in cui il narratore, che sembra osservare acutamente l’umanità quasi da un microscopio, racconta della trappola che costruisce per indurre Czentovič,  casualmente sul suo stesso piroscafo, ad accettare una partita con lui e altri principianti assoluti. Quindi l’autore focalizza l’attenzione sulla personalità dei due fuoriclasse, Czentovič e il dottor B. Infine la novella si conclude con il racconto della serie di sfide che li vedono fronteggiarsi con esiti alterni.

Czentovič è ottuso e efficiente, esattamente come una macchina: freddo, impassibile, quasi un’entità sovrumana nella sua capacità di astrarsi da ciò che lo circonda, capace di calcolare (come una sorta di moderno personal computer) ogni combinazione possibile con otto mosse d’anticipo. Ben diversi sono i tratti caratterizzanti del suo antagonista dottor B.: questi è un uomo leale e onesto, schiacciato da un sistema, quale quello che si sta affermando con l’instaurazione del regime nazista, che ha come unico obiettivo quello di disumanizzare l’individuo. In un lungo flashback il lettore viene a conoscere le drammatiche vicende che lo hanno portato a sviluppare la sua passione per gli scacchi, anzi la sua ossessione: catturato dalla Gestapo, rinchiuso in una stanza d’albergo sgombra di ogni oggetto, abbandonato alla completa solitudine per settimane, privato di ogni stimolo che lo possa tenere occupato in una qualsiasi attività di tipo manuale o intellettuale, il dottor  B. trova negli scacchi un’ancora di salvezza e forse lo strumento di una riscossa di fronte a chi vuole annullarlo come essere pensante, privarlo di un’identità e di una moralità. Il dottor B. occupa la sua immaginazione (non dispone infatti né di scacchiera né di pedine) giocando infinite partite che replicano le strategie messe in atto dai più grandi scacchisti di sempre. Spesso è costretto a simulare partite in cui, sdoppiandosi, gioca contro se stesso, usando contemporaneamente pezzi bianchi e pezzi neri e sarà proprio questo a causargli un vero e proprio “avvelenamento da scacchi”, come egli stesso lo definirà, per cui gli risulterà impossibile il non pensare al gioco

La scacchiera diviene il luogo in cui la diversità di queste personalità antitetiche diviene tangibile poiché i due giocano a scacchi così come sono. Czentovič, razionale e calcolatore, considera gli scacchi una fonte di guadagno e di fama, tutt’al più uno strumento di riscatto sociale. Il “figlio del battelliere” studia l’avversario, lo snerva lasciandogli lungamente attendere qualsiasi mossa, non rivela il segno della benché minima emozione per tutta la durata della gara.

Ogni volta gettava solo un’occhiata in apparenza fuggevole alla scacchiera, ci guardava con noncuranza, come se anche noi fossimo morti pezzi di legno, e quest’atto impertinente ricordava senza volerlo quello con cui si getta un boccone a un cane rognoso, distogliendo gli occhi. Se avesse avuto un po’ di sensibilità avrebbe dovuto, secondo me, avvertirci dei nostri errori o incoraggiarci con una parola amichevole

Il dottor B., al contrario, gioca con tutta la sua passionalità e fantasia, illustra serenamente agli spettatori l’andamento della partita, attende con ansia ogni contromossa dell’avversario, si anima e si abbatte, a seconda dell’evoluzione del gioco.
Attorno ai protagonisti si muovono altri giocatori e comparse: il narratore, l’ingegner McConnor, ufficiali di bordo, viaggiatori. Le simpatie del lettore però non possono che convergere sul dottor B., così come Zweig ci induce a fare. In lui Zweig incarna l’uomo giusto, ingiustamente colpito dal male, riflettendo anche in questo personaggio, come già nel narratore, parte della propria anima e della propria sorte.

La novella degli scacchi, infatti, fu scritta da Zweig pochi mesi prima del suo suicidio, avvenuto in Brasile nel 1942. Allo scoppio della seconda guerra mondiale Zweig aveva lasciato definitivamente l’Europa, discriminato in quanto ebreo, disgustato dal “mondo nuovo” che si stava delineando dinanzi ai suoi occhi. Nella novella il dottor B. viene a rappresentare l’essenza di un modello umano (espressione, secondo Zweig, dello spirito più profondo della cultura europea, oramai stravolta e rinnegata), capace di unire ingegno, creatività e valori e di aprirsi alle mille possibilità dell’esistenza. Di fronte a questo tipo di individuo troneggiano vincenti i rappresentanti di una nuova epoca, i vari Czentovič . Gli uomini come lui non sono privi di qualità: sono dotati di una “dura e fredda logica”, della “visione, pazienza e tecnica” di un buon scacchista, ma sono indifferenti e amorali. L’uomo incapace di vivere, l’inetto raccontato da Italo Svevo, o “senza qualità”, così come descritto da Musil, non è, dunque, nella logica del “brave new world” in affermazione, l’ottuso Czentovič, bensì proprio il tipo di uomo dotato di ideali, arditezza, fantasia che Zweig stesso sentiva di essere. Darwinianamente, per questa umanità incapace adattarsi alla disumanità che la circonda, non è possibile nessuna salvezza, esattamente come gli scacchi non costituiscono nessun riscatto per il dottor B. che, cercando di fuggire dall’orrore delle persecuzioni e dalla pazzia, ritrova nel gioco una persecuzione e una pazzia.  Ciò che resta, per quanto poco consolatorio, è la consapevolezza del valore di quanto scomparso e la memoria che di essa ci viene consegnato, memoria di cui il narratore, unico depositario della storia segreta del dottor B., diviene il testimone.